Ravanare

Hangover

Eva Toschi

Stai risalendo a piedi una vecchia valanga, lo zaino carico ti opprime e non sai da dove proviene il dolore che senti come un pugno in pancia. Forse ti manca il fiato, forse ti sei incrinata una costola ieri sera, da sbronza. Stamattina ti sei svegliata raggomitolata sul sedile posteriore della tua auto nel parcheggio degli impianti. Non hai guidato ieri sera, perlomeno hai avuto un minimo di senno ma più che altro non ti reggevi nemmeno in piedi. Non volevi far festa e poi hai esagerato. Fai sempre così, ultimamente.

 

Mentre guidi per tornare a casa – sì, perché adesso ce l’hai una casa e ti piace pure – sei costretta a fermarti, aprire lo sportello, e vomitare l’acqua ghiacciata che hai bevuto appena sveglia.

Hai dormito nel tuo letto un paio d’ore, fatto la doccia, preparato lo zaino. Sei persino riuscita a mangiare.
Adesso sei qui, a rasparti su da una vecchia valanga e nemmeno ti chiedi chi te lo ha fatto fare. La tua testa è vuota, ad eccezione di qualche immagine di ieri sera. Brevi lampi sconnessi. Ma non fanno luce nell’oscurità della notte che sta calando.

Segui Lupo passiva, non hai nemmeno l’energia per sparare le solite cazzate che aiutano a sopportare la fatica e a far passare il tempo. Apatia. Ci mettete un’eternità: un po’ perché non ti tiri assieme e un po’ perché vi impantanate un’ora in neve inconsistente che sfonda ad ogni singolo passo. Arriva il buio. I calcoli li avevate fatti giusti, solo che ci avete messo di più. Hai passato notti peggiori fuori. É l’unico pensiero che ti allieva le ultime centinaia di metri di dislivello al buio. Non stai nemmeno così male, contando che sei in hangover.

Vedi le finestrelle azzurre del rifugio e accanto, in legno, il bivacco. Per oggi è finita. Non completamente, ma almeno la puoi smettere di trascinarti pietosamente in su. Il bivacco ha tantissimi letti ma un solo, piccolo tavolo con due sgabelli in legno. É strano immaginare tante persone a dormire senza uno spazio per mangiare. Comunque non ti interessa, siete solo voi due. Fai tutte quelle cose che si fanno in bivacco e che ti fanno sentire a casa: togliere gli scarponi, mettere le ciabatte, svuotare lo zaino, sciogliere la neve. C’è sempre qualcosa da fare in bivacco: ci si riposa solo quando si è a letto, se si riesce.

 

 

Iniziate a smangiucchiare mentre aspettate che l’acqua bolla. Sembra metterci un’eternità. Di aprire la bottiglia di rosso che vi siete portati su, nemmeno a parlarne.
Mangi dalla busta avidamente e in fretta. Per la fame e perché non vedi l’ora di andare a dormire. Una pisciata e sali le scale per andare a dormire in mansarda. Non c’era dubbio che scegliessi di dormire lì. Lupo resta a finire di bollire un po’ d’acqua per il giorno dopo. I rumori rassicuranti che produce sotto al soppalco ti fanno crollare all’istante. Lo senti salire a dormire dopo un lasso di tempo indefinibile ma non riesci a dire nemmeno una parola: come quando provi a strillare nel sonno e ti scopri muta.
Dormi talmente bene che la mattina fai fatica a svegliarti. Ti rigiri un po’ mentre Lupo prepara il thè. Se fossi a casa vorresti fare colazione e rimetterti a dormire ma non sei a casa. Ed è proprio quello che hai voluto. Là fuori c’è qualcosa che ti, che vi aspetta, anche se ieri, nella notte, era difficile rendersene conto.


Ci metti meno del previsto a svegliarti. Iniziate a pellare e gli spazi che ieri sembravano immisurabili oggi lo sono e sono lontani. É tutto dannatamente lontano.
Sei lenta, più del solito. Le gambe fanno male ma è un sacrificio che va fatto per essere lì. Due anime sole in uno spazio sconfinato. A volte l’essere ha bisogno di espandersi e vagare nel vento. Due tracce spazzate vie.
Lupo ti trascina. Sei legata ad una corda invisibile. Arrivate al passo e decidete di porre fino al tuo strazio. Sei felice per il semplice fatto che, per oggi, hai smesso di salire.
La neve è dura e scivolate veloci verso il bivacco. Anche se spingete sugli sci a farvi esplodere i quadricipiti le vostre tracce non sono che carezze alla montagna. Domani saranno solo ricordo.
Spazzi via l’apatia che ti porti dietro dalla macchina. L’hai lasciata lì su. Adesso sei risate e strilli e parole. Vi mettete seduti al sole fuori dal bivacco, mangiate, bevete e vorresti rimanere lì un’altra notte, un altro giorno: non vorresti scendere più.

Bevete un calice di vino con la busta di cibo liofilizzato perché non ha senso portare giù una bottiglia piena. La finite al caldo del bivacco (perchè non ha senso bere solo un calice) e dovete puntare una sveglia per ricordarvi che giù ci sta una vita che vi aspetta.
Scendete brilli e ilari; pian piano la neve si trasforma in fango. E l’essere, il tuo essere che ha volato insieme ai corvi fra quei picchi di granito torna al suo posto. Fra il fiato spezzato e le costole rotte.

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Beòna.... e mi fermo qui! Al prossimo racconto, Luca
Grazie, perché mi porti dove non arriverei mai. Un abbraccio, Marina