Ravanare

Calate, idrofobia e litofilia

Mattia Prignano

Eravamo in quattro, ci siamo calati con due mezze per la catena sbagliata, l’avevamo già fatto due volte senza saperlo e tutto era filato liscio…raggiungiamo la seconda sosta dei camini, andiamo per tirare le corde, tira che ritira, alla fine l’unica cosa che abbiamo tirato so state un sacco di bestemmie! La risalita era impensabile, calata di 60m su placca strapiomba, la placca di 7a di grigio topo – al tempo il sesto grado era il nostro limite. Così decidiamo di calarci con la singola rimasta, gli ultimi metri ce li facciamo in disarrampicata, arrivati giù riflettiamo sul da farsi.

Quando mi giro verso mare vedo una barchetta a vela, che ci saluta…il barlume di speranza, la salvezza, grido “aiutooooo”, questa si avvicina alla parete, riesco a comunicarle che siamo bloccati, che due di noi non avranno le corde per risalire, era oramai almeno l’una e non avremmo avuto tempo di far salire una cordata per poi ricalarsi, scastrare le corde e ripartire, per cui rimaneva una cosa da fare: calarsi in due nella barca del nostro soccorritore occasionale, e farci riportare a terra.

Il soccorritore era un ragazzo giovane, biondino, un po’ figlio di papà, che prendeva la barca a vela del papi e andava in solitaria a pescare in apnea alle scogliere poco oltre la spiaggia di Serapo. Per fortuna coraggioso quanto a noi bastava! Si avvicina alla falesia con la prua appuntita della barca con una manovra al limite della prudenza. Prima mi calo io, raggiungo la prua in continuo movimento ondulatorio, con un gesto fulmineo faccio uscire le corde dal discensore e con un colpo di reni mi tengo in piedi afferrando la piccola balaustra che circonda lo scafo. Faccio calare il mio amico, neofita dell’arrampicata (perché queste cose succedono sempre quando c’è qualcuno nuovo). Con una mano tengo lontana la barca dalla parete, con l’altra faccio in modo che lui riesca a smontarsi e a non cadere in acqua.

Ce l’abbiamo fatta! Siamo sulla barca, non ci resta che farci riportare a terra! Gli altri due scaleranno la via Beatrice con la corda singola rimasta…dopo aver ringraziato il nostro salvatore partiamo alla volta della spiaggia di Serapo. Ma chi lo sapeva che le barche hanno due metri di chiglia! Io pensavo fossero gli iceberg…

Quando si esce dalla via Flacca e si seguono le indicazioni per Montagna Spaccata, dopo il primo tornante si nota subito l’inizio della gigantesca falesia. La fascia rocciosa nasce adiacente alla spiaggia, prima alta pochi metri, ma in poco supera le decine di metri. Più in alto una vegetazione fittissima, rovi e smilax aspera, rendono impenetrabile ogni centimetro quadrato di quel versante calcareo franoso. E, come se non bastasse, prima di poter raggiungere la strada più in alto che porta al santuario sorgono le antiche mura del forte di Monte Orlando.

Di tornare al porto non se ne parla, la giornata di pesca in apnea è appena iniziata, così il nostro samaritano ci indica schiettamente la via di ritorno. Guardiamo verso la spiaggia, trecento metri di gelida acqua salata ci separano dalla sabbia calda e asciutta dell’approdo. Eppure quella parete non sembra così dura da scalare, e da bravi felini di montagna che siamo, pensiamo che qualche roccetta in freesolo e un po’ di spine potrebbero essere un’alternativa più che valida ad una nuotata nel pieno di dicembre. Ci guardiamo, ci auguriamo buon natale, e ci tuffiamo ancora con le scarpette ai piedi per raggiungere la parete a poche decine di metri di distanza.

L’acqua gelida ci rinvigorisce, saliamo fomentati la parete rocciosa senza guardarci alle spalle e iniziamo la ravanata nella macchia mediterranea. Ovunque pietre tenute insieme solo dai rami coriacei della “stracciabraghe”, ad ogni passo in avanti seguono due passi indietro, ci afferriamo a qualsiasi cosa ci arrivi a tiro di braccio, un ramo di un leccio secco, una foglia di lentisco, un masso in equilibrio precario. Quando raggiungiamo le mura somigliamo al Gesù della passione di Cristo, solo che di passione per Cristo ne abbiamo ben poca. Cazzo quanto sono alte queste mura! Da lontano avrei detto poco più di un boulder, da vicino sono almeno una quindicina di metri di pietre di calcare tenute insieme da una erosa e fatiscente malta! La nuotata sembra sempre più inevitabile. Abbiamo perso le speranze, l’adrenalina inizia a scendere e tremiamo per il freddo, ma visto che questa è la nostra natura pensiamo, perché non provare ad arrampicare in deepwater solo per avvicinarci il più possibile alla spiaggia?

Parto io, mi mantengo non oltre i dieci metri sul mare, cerco la via più facile, il passaggio meno strapiombante, avanzo, esito, torno indietro, passo più in basso, poi mi rialzo a seguire quella cengetta, spacco e riposo, gli scogli più in basso sembrano acuminati, sarebbe bello avere la magnesite… Gli ultimi 20 metri, incredibile, troviamo due cavi d’acciaio che collegano la parete alla spiaggia! Sapevo che mi sarebbero servite tutte quelle giornate a cazzeggiare con la slack! Ovviamente cadiamo in acqua a metà, ma oramai siamo felici, abbiamo passato una giornata incredibile, abbiamo improvvisato, creato, esplorato, ravanato, ed anche un po’ nuotato che dicono che fa bene! Ma soprattutto, non abbiamo chiamato il Soccorso!!!

Vertigini

 

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