Quel movimento, generalmente verso il basso (perché viviamo in una realtà dove la gravità è legge e al tempo stesso giudice), che è la manifestazione concreta e sfuggente della leggerezza stessa. Un ponte tra presente e futuro, tra superficie e profondità perché sfiora, ma non penetra. Un’aspirazione, un soffio, una preghiera sussurrata da un bambino che non conosce parole importanti ma sa cos’è la sincerità perché la menzogna gli è rimasta impressa come l’impronta di una mano sul culo.
Desiderio di scorrere come una goccia di rugiada sulle nervature di una foglia e invece ruzzolare goffamente giù come pietre e trascinare tutto con noi. É la natura del nostro essere umani: inciampare se alziamo gli occhi al cielo e puntiamo un dito verso le stelle.
Sarebbe l’ora di liberarci da questo peso che ci trascina giù dal dirupo e imparare a restare in equilibrio sul bordo. Tendere un filo che attraversa gli abissi, e avere il coraggio di danzarci sopra.
Il passo che diventa moto. La linea di un pennello che diventa arte, la nota che diventa musica. Il sogno che diventa fatto. La polvere che si alza e cattura la luce.
Precipitare ma essere aggrappati alla vita. Goderne, essere capaci di prenderla con leggerezza. Giocare. Ti ricordi quante volte hai risalito le scale di quello scivolo di plastica al parco? Era diverso dall’altalena, dove per andare forte dovevamo farci spingere. Lo scivolo era un divertimento indipendente, in cui imparavamo al tempo stesso il controllo e a lasciarci andare. 3.2.1. giù. Un atto di fede, di coraggio. Tuffarsi da uno scoglio, rompere l’acqua, ma tornare sempre a galla.
Viviamo in una realtà dove la gravità è legge e al tempo stesso giudice e per questo non possiamo volare.
Ma abbiamo imparato a rimanere in equilibrio e scivoliamo in avanti. E non cadiamo più.