Odio scrivere, amo aver scritto.
Dorothy Parker
È una citazione che uso spesso, per spiegare il mio rapporto con la scrittura. Facile da intendere, non lascia spazio a interpretazione; una frase chiara, bianca, senza nessuna macchia d’inchiostro. Scrivere, ovvero portare a compimento il processo creativo che tramuta il pensiero in parole incise su carta o su file, non è un modo piacevole per passare il tempo. Il mio tempo. Devo fermare tutto, silenziare il caos e dargli una voce, sedermi e cominciare a viaggiare, cercando di restare ferma. A volte, quando mi richiede estrema fatica, inizio a sudare. Anche se sono immobile a eccezione delle ciglia che sbattono dietro agli occhiali e le dita che picchiettano la tastiera di fronte a me. Anche se la stanza è fredda e i miei piedi sono gelati.
Scrivere non è pensare allo scrivere né aver scritto, che invece sono cose che amo molto fare. Scrivere è esattamente tutto quello che succede nel mezzo.
Scrivere non è piacevole insomma, e senza provare a affrontare temi profondi come gli abissi che si diradano sotto alle gambe del nostro tavolo (a volte anche sotto alla nostra sedia), quando lo facciamo, poi ci sentiamo bene. Rischiare di cadere a ogni passo ma alla fine arrivare in catena. Chiudiamo il portatile, ci alziamo e riprendiamo a respirare, come se avessimo trattenuto il fiato per ore. E, in effetti, è proprio quello che abbiamo fatto. Mi alzo, ho la gamba sinistra addormentata. La schiena mi fa male; me ne accorgo ora, la scrocchio. Sono passate ore, fuori è buio e la stanza non è sufficientemente illuminata. Sento la musica, è fuori dalle mie orecchie; la posso quasi toccare. Le mie mani sono umide, forse perché il tempo ci è scivolato attraverso.
Il vuoto: rimescolato a caffeina e thc. Mi fa sentire frastornata e infatti lo sono. É questo che intendo quando dico ‘essere a posto con me stessa’. Sospiro sollievo (per fortuna che adesso respiro) perché sento volare via il peso delle parole che ho dato. Via. Così lontane che non le trovo se le voglio rileggere. Ma tanto non lo farò. Odio scrivere ma odio ancor di più leggere, quello che ho scritto. Lo lascio fare agli altri e voglio vederli mentre lo fanno soprattutto se lo fanno in un luogo che non riesco a immaginare se chiudo gli occhi. La mia perversione. Disegnare i miei pensieri e poi colorarli tutti di nero, lasciando fuori solo delle piccole linee spezzate.
Quel nero, tu che stai leggendo, è tutto tuo. Ci puoi vedere dentro quello che vuoi e io un poi ti invidio per questo. Un po’ ti odio.
Ho messo un punto e amo averlo fatto. E per questo ho il dovere di prendere un impegno per ricordarmelo. Ogni mese, una parola soltanto. Perché ho bisogno di sentire il peso addosso di tutte le altre.
Ogni mese, per almeno un mese, una parola soltanto.
Qui, su ravanare.